Una visione della metropoli contemporanea in una serie di dieci pannelli 3 metri per 3,30 presentati da Peppe Alario e composta da multipli fotografici che ripetono ossessivamente la stessa immagine enfatizzando la drammaticità del rapporto uomo-città.
Catalogo a cura di Pennino Editore
2007
Presentazione
di Peppe Alario
Il fantasticante fantastico Cacciapuoti, ovvero la creatività senza freni che inventa metafore, appigli simbolici, elucubrazioni congruenti della realtà, di un frammento raggelato della realtà dell’uomo e dei suoi ambienti. Estrema modernità percepita grazie ai più precisi meccanismi della mente, assoggettati, però, a potenti filtri chimerici, all’iperbole e a raffinate notazioni d’improbabilità non elusive, non contraddittorie, ma finalizzate ad un’affermazione di consussistenza e di compatibilità. Il delirio figurativo, l’allucinante descrittività che sono propri del nostro artista, plasmano immagini soggettive anche attraverso i sensi, nel dominio sia del sogno sia di deduzioni esperibili. Infine, la capacità di navigare nell’intero sistema fotografico con sovrana abilità consente a Cacciapuoti di consegnare, per così dire, al per sempre magnifici fantasmi, transeunti cardiopalmi, urgenze del suo spirito.
Fotografia e pensiero sono, con lui, così strettamente intrecciati da diventare materia viva, stella segreta in un pugno infantile, desiderio indecifrabile, eccedenza di stile, orizzonte aperto, sentenza estetica ed ideologica.
Ora che i minuscoli dispositivi fotocellulari, con i loro tic, ovvero con la possibilità di registrare immagini e di cancellarle, di ammucchiarle, smaterializzate, in un altrove elettronico, di nasconderle fino a dimenticarle, rischiano di premiare l’impremiabile, di cancellare la prodigiosa cultura del documento, della archiviazione virtuosa, del costruire memoria e quindi storia, ora che il “verba volant” sembra voler sopraffare lo “scripta manent” (e la fotografia è scrittura) mentre la traccia aleatoria si nutre a spese ed in danno dell’impronta definitiva, ora che la modernità fotografica si affida, nella cybersfera dei miracoli, a sequenze numeriche, e la matrice analogica, decisamente surclassata, può sperare nei musei perché in futuro ci si ricordi della sua importanza, c’è il rischio che la “meravigliosa invenzione” scivoli verso un futuro ambiguo o, addirittura, verso una sorta di autocannibalismo postbulimico. Ebbene come potrei non essere grato a Cacciapuoti che usa lo scalpello perché le sue immagini siano oggetti fisici, testimonianze sensibili destinate alla permanenza ed alla conservazione? In più, il ricorso ad una singolare installazione scenografica per presentare in mostra, secondo una procedura logica che apre organicamente a valori supplementari, la sua opera, un corpus compatto eppure esplicabile, utilizzando un ambiente non come neutro contenitore ma come medium complesso, integrante ed intrigante, finanche misterioso, enigmatico, insomma forte,dice di Cacciapuoti, laddove ce ne fosse bisogno, che è autore molto distante da quelli che ripetono all’infinito quel poco che sanno fare. Personalmente non amo ricavare dalle foto che ho il privilegio di commentare tutto il succo possibile senza appoggiarmi alla conoscenza diretta dell’uomo, della sua personalità, della sua storia, che stanno dietro a quelle foto. Ho incontrato per la prima volta Cacciapuoti una decina d’anni fa e ho avuto modo di apprezzare il suo mondo creativo. Oggi ho sotto i miei occhi l’ultima sua produzione e, ammirato, registro una grande maturità, un aver messo a profitto il tempo. Di lui posso fidarmi anche per il futuro. Un suo amico che lo stima e gli vuole bene dice, con non poco rammarico, che è stato “fottuto” dalla sua vocazione, vittima, insomma, della sua riverberante follia immaginativa che gli impedisce di darsi a se stesso ed ai suoi propri interessi più concreti. Effettivamente Cacciapuoti è segnato profondamente da un timbro d’inquietudine, di fragilità e di pessimismo, ma non è questo che dà la misura dello spessore umano d’un poeta delle immagini?
Tornando alle foto della mostra desidero aggiungere un’ulteriore suggestione artistica, questa: la moltiplicazione e l’iterazione ossessiva conferiscono ai vari brani della pagina monotematica un forte dinamismo che rimanda a lontane indicazioni futuriste, oppure, e forse propriamente, alle, più vicine nel tempo, imparziali e gelide rappresentazioni firmate da Andy Warhol che, giova ricordarlo, non a caso si servì molto della tecnica fotografica.
In ogni caso l’accostamento deve rimanere lieve, nient’affatto condizionante per il giudizio. Cacciapuoti è un fotografo puro, nel senso migliore del termine, che cerca abilmente di restituire l’incanto dell’immagine ed il suo potere evocativo alle nostre menti ormai pericolosamente impinguite ed intossicate dagli effetti speciali del cinema e dalla avidità del photoshop.
Il loro intimo contenuto, liberato da una capsula formale perfetta, ci induce a riflettere sulla alienazione e sulla solitudine dei singoli individui e più particolarmente sul fatto che Politica, Economia, Scienza, Tecnologia, Religioni, Costumi, Etnie, Globalizzazione, Megalopoli sono gabbie che l’uomo ha pensato aperte e fuori da sé ma nelle quali, invece, si è rinchiuso drammaticamente. E le VIE D’USCITA?
Peppe Alario